domenica 10 febbraio 2019

Uscite collana Edizioni Underground

Vi segnalo oggi una raccolta di racconti pubblicata dalla Collana Edizioni Underground dedicata al male "Relativo" di Davide Skerl.


Quelle che leggerete sono storie che hanno come argomento il male che rimane relativo in  quanto strettamente legato a un'idea di bene distorta o comunemente non accettata.
Il bene, infatti, non è assoluto.

Ripensate a quella volta inconfessabile in cui siete stati egoisti, falsi o avete fatto IL MALE solo per tenervi buona una persona. Magari convincendo tutti gli altri che sì, lo facevate a fin di bene...


PREFAZIONE
Nessuna scelta viene da sé o è figlia di una decisione di carattere momentaneo. Soprattutto il formato e la fattura di un lavoro editoriale.

Meno che mai se la collana di cui parliamo è dedicata al MALE. Semplicemente e palesemente a quel sentimento puro e incorrotto che alberga, volenti o nolenti, nel fondo delle vostre anime.

Dicono che la differenza tra l’uomo e gli altri animali stia nel fatto che solo l’uomo ha imparato a seppellire i propri cadaveri non con l’intento di celare l’odore della decomposizione o per disporsi una scorta di cibo per i momenti di magra ma per segnare un luogo dove andare a ritrovare le spoglie dei trapassati e “venerare” le persone che furono. Chi scrive crede, in realtà, che l’uomo seppellisca le carogne dei propri cari perché è molto altro quello che intende celare agli occhi. Quello che deve scomparire non è un corpo in decomposizione, non sono ossa e brani di carne, è il sentimento che per il defunto si porta.

Subito dopo aver seppellito il primo cadavere della sua storia, il becchino ancestrale si è trovato di fronte alla domanda: come segnare il luogo di sepoltura perché io possa tornarvi? Come non perderlo nelle valli e nei boschi di quell’epoca antica? Il segno della sepoltura divenne quindi un piccolo ma riconoscibile cippo, un sasso dissimile dagli altri, un ramo spezzato. Poco ci volle che quel ramo e quella pietra diventassero un altare. E qui il cadavere tornava in superficie. Non come orrendo cumulo di ossa e carne abbandonate agli animali del sottosuolo ma come immortale ricordo dei sentimenti più “buoni”: L’amata ricordata dall’amore immortale, l’amico, l’Eroe che la patria piange, il Principe, il Santo.

L’uomo diventa così un necrofilo. Amare i propri morti è un estrarre dalla terra e riportare alla luce null’altro che il bello e il buono di chi non c’è più lasciando, pochi metri sotto il suolo ma ben nascosto, tutto il suo male a decomporsi, schiacciato dal peso di quel bene, tanto più ingombrante quanto più il defunto fu importante per il suo tempo (se abitate a Milano e non avete ancora fatto un giro al Cimitero Monumentale siete caldamente invitati a farlo).

La verità è, dunque, sottoterra. Il male è lì, tutto quello che si vorrebbe dire, tutti i sentimenti più inconfessabili sono lì, a portata di mano. Basterebbe scagliare la pietra a lato della tomba afferrare una pala e scavare pochi metri per vedere affiorare l’orrenda verità in tutto il suo fetore… Basterebbe, ma è meglio non farlo. Meglio soprassedere e portar fiori al simulacro del bene così evidente e apogeo.

Una forma tutta particolare di necrofilia è la scrittura. Ciò che è scritto è per sempre. Scrivere significa condannarsi all’immortalità.

Come per le tombe anche la scrittura ha subito un’evoluzione storica che è passata dai primi segni sui cocci d’argilla, utili a capire quanto grano si fosse immagazzinato nei depositi delle pianure Mesopotamiche agli elaborati specchi di un cieco bibliotecario argentino. Tra scrittura e sepoltura le affinità sarebbero infinite (Foscolo se ne accorse meglio di molti suoi contemporanei). La letteratura del male ha subito la stessa sorte dei cadaveri sepolti

Le grandi Bibbie, le opere rilegate dei grandi esegeti, moralisti, filosofi,… sono  opere monumentali, spesso preziose nella loro antica policromia, oggi, in un epoca di consumo di massa riprodotte fino alla nausea e poste sotto il naso di chiunque nelle librerie e nei supermercati. Il bene che trionfa vende! Meglio renderlo ben visibile e, se possibile, in saldo.

Altro destino per la letteratura del male. Quella letteratura che muove i suoi passi dalla parte sbagliata del confine. La letteratura che parla dell’inconfessabile, del desiderio proibito che tutti bramano ma nessuno manifesta, i racconti dove il bene soccombe, o ancora peggio dove non c’è né bene né male.

Libri maledetti. Libri che non si dovrebbero mai scrivere, figurarsi leggere.

Ecco cosa avete tra le mani.

Siamo noi quei becchini, abbiamo scavato nel cimitero dei vostri sentimenti e abbiamo tirato fuori tutto l’inconfessabile. Sappiamo che da sempre volete vedere dentro la fossa ma che non lo si può urlare ai quattro venti e per questo vi abbiamo regalato dei libri dal formato discreto, anzi, decisamente piccini… potete tenerli nascosti sotto un assito, o dietro un quadro oppure potete metterli in librerie a fungere da trappola. Chissà chi sarà il primo a dire: “Ma che libretto strano… cosa ci sarà dentro?”

Buona lettura. Buona fortuna. 

Maurizio Mozzoni


ESTRATTO
(colonna sonora: Cat Power – Metal Heart)

Ed eccoci alla scadenza dell’anno, all’appuntamento che molti aspettano con ansia fremente e che io accetto a denti stretti, digrignando: la cena di natale.

Potrei non andarci, ma spesso viene fatta in posti che non mi potrei permettere o che non potrei vedere, quindi anche se un po’ malvolentieri ne approfitto. 

Stamattina sono arrivato presto, per cui esco presto, vado al ‘Baretto’ sotto l’ufficio, e decido di iniziare ad annebbiarmi per sopportare la mondanità. Per me già in un tavolo con sette persone siamo troppi, figuriamoci duecento in gran parte estranei.

Entro e il gestore, un omarello calvo e tarchiato, mi saluta sorridente e mi chiede cosa voglio. 

‘Campari col bianco.’

Me lo prepara, prendo delle patatine e iniziamo a chiacchierare. In meno di dieci minuti lo finisco intanto che aspetto una collega che so che non arriverà.

Guardo il telefono: niente. Ed è anche presto.

‘Me ne fai un altro?’

Lo prepara, me lo porge e riprendo a bere. Non sono euforico, sono sciolto, mi sento abbastanza bene. 

Finisco anche il secondo e decido di non esagerare. Finisco di parlare ed esco. Sono pigro per cambiare musica, mi ficco nei timpani gli auricolari in-ear al massimo volume possibile in modo che chiudano il mondo all’esterno e mi incammino, ne avrò per circa cinque minuti. 

Fuori è buio, freddo, umido.

È freddo anche dentro di me.

(Losing the star without a sky)

La musica è triste ma mi culla, incredibilmente mi conforta

(Losing the reasons why)

Passeggio e guardo la gente che cammina, la gente felice, le vetrine addobbate

(You're losing the calling that you've been faking/And I'm not kidding)

Ma io non ho voglia di festeggiare, vorrei solo dormire, o morire

(It's damned if you don't /And it's damned if you do)

E invece stasera dovrò fingere di sorridere, di essere felice con degli estranei

(Be true 'cause they'll lock you up/In a sad sad zoo)

Annebbierò tutto con il vino, sperando nessuno si accorga della mia disperazione

(Oh hidy hidy hidy what cha tryin' to prove)

Mentre tutti sono attori, io mi sento spettatore.

(By hidy hidy hiding you're not worth a thing)

Il posto è bellissimo, non c’è che dire. Tutti eleganti, tutte eleganti. 

Tranne me. 

Io ho il completo di sempre e ho scelto una cintura con la fibbia dei Motörhead, per distinguermi. Questo è quello che sono, non lo cambio per un evento, l’essere diverso è la mia coperta di Linus.


A un certo punto ci si sposta in un salone. Maledico l’acustica e il vociare, c’è un baccano infernale, gente che brinda, gente felice, che prende da mangiare dai vassoi del finger food. Mi aggiro e cerco di parlare con qualcuno, ma mi annoio presto. Calcio, politica, lavoro, vestiti, figa, tutti discorsi che o non mi entusiasmano o mi stancano presto, e poi non sono con gli amici. Questa è una riunione con colleghi, non posso essere me stesso.

Inizio a passeggiare e a un certo punto mi ritrovo staccato dal gruppone, li vedo da lontano, da qualche metro. 

E, in quel momento, in mezzo alla gente mi sento solo. 

È un tipo di solitudine diversa, non è lo stare da solo in casa dove sai che sei solo. Qui ti ritrovi da solo, e non puoi fare nulla. Decido per il continuare ad annebbiarmi e fare così per tutta la cena. Non dovrei, le medicine mi proibiscono di assumere alcool, ma l’unica cosa che posso fare per ‘portare a casa il risultato’ senza impazzire è bere in maniera da rimanere signorilmente alticcio, non dare spettacolo e tornare a casa in piedi.

La festa attorno a me continua, faccio anche io qualche foto, accompagno in bagno uno meno fortunato di me che non regge l’alcool e prendo la prima scusa possibile per andare a casa appena la gente inizia a defluire.

La collega con cui ho fatto parte della strada verso casa scende dal tram, io mi rimetto gli in-ear e mi dirigo da solo verso il mio letto.

La musica è sempre quella, sempre triste, ma continua a darmi conforto.

(Metal heart you're not hiding/Metal heart you're not worth a thing)

Perché io sono merce difettosa. Non riesco a conformarmi, proprio non ce la faccio, nemmeno per una serata.

È più forte di me.



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