Come la Pioggia e la
Scozia
Giulia De Martin
AUTORE: Giulia De
Martin
EDITORE: Words Edizioni
GENERE: Romance ad
ambientazione storica
FORMATO: Ebook (2,99 –
0,99 nel giorno d’uscita) - Cartaceo (15,90)
RELEASE DATE: 25.11.2020
DISPONIBILE SU AMAZON
E IN TUTTE LE LIBRERIE
«Che cosa avete di più
caro, signorina?»
«Ben poco al momento,
milord. Solo la mia vita.»
TRAMA
Inghilterra, 1818
Quando lady Freya Howard
arriva a Charlton Park, ha l’animo e il cuore a pezzi: suo padre, il Conte di
Norfolk, ha perso ai dadi l’intero patrimonio, lasciando figlia e moglie sole e
nella più completa disperazione. Lusso e balli sono ormai solo un lontano
ricordo, così come il fidanzamento con l’amato James, e alla giovane si
prospetta un futuro da sguattera. Freya è però una donna intelligente e
intraprendente, determinata a riconquistare da sola il proprio posto nella
società. La sua tenacia cattura anche l’attenzione di lord Suffolk, padrone di
casa vedovo e affascinante, e durante un viaggio in Scozia tra i due sboccia un
sentimento difficile da tenere a bada. Ma proprio in Scozia torna a farsi vivo
il passato di Freya, rischiando di mandare in frantumi quel barlume di felicità
a fatica ritrovato. All’epoca della Reggenza, fra il lusso dei grandi palazzi e
la brughiera foderata d’erica, scopriamo un mondo celato e distante dai ricchi
salotti, dove amore, passione e desiderio di riscatto si mescolano in un
turbinio di pioggia scozzese.
L’AUTRICE
Classe 1991, una laurea in letteratura inglese, una in
giornalismo e due anni vissuti in Irlanda, Giulia De Martin oggi ha
trovato la sua occupazione nel mondo del digitale, ma non ha abbandonato la sua
passione per i classici e la loro bellezza. Vive fra le Dolomiti con un
pallanuotista e due gatti, Loki e Thor, alternando web e carta stampata,
lavorando come modella e viaggiando per l’Europa. Il romanzo storico è per
Giulia il mezzo per trattare temi attuali e riflessioni profonde conferendo al
tutto un’anima romantica. I suoi personaggi, donne forti e determinate che
combattono per mantenere la loro posizione e felicità, rispecchiano le giovani
di oggi, sognatrici e pragmatiche, che bevono la vita in un sorso solo
assaporandone ogni goccia.
ESTRATTI
1.
Il generale osservò l’intera sala, poi
mio padre e alla fine posò lo sguardo su di me. In quel momento, anche gli
altri uomini si accorsero della mia presenza. Rimasi imperturbabile e in
silenzio, lo sguardo fisso sulla nuca di Charles Howard, Conte di Norfolk.
«La mano di lady Freya, o la sua dote»
rispose Cavendish, con lo stesso tono che avrebbe usato per ordinare un
bicchiere di vino al cameriere.
Rimasi impietrita; avrei voluto
intervenire, ma non ci riuscii. Avevo perso la voce e l’uso delle gambe,
come quando sogni di scappare da un
inseguimento, ma ti rendi conto di non essere abbastanza veloce.
Anche mio padre rimase di stucco. Ero
certa sarebbe scoppiato a ridere: non mi avrebbe mai scambiata per un cavallo.
«La sua dote» disse infine con voce
nervosa.
Le mie gambe divennero molli
all’improvviso e dovetti appoggiarmi alla parete per non crollare a terra. Non
potevo credere che lo stesse facendo sul serio. Avrei voluto ancora una volta
intromettermi, ma lord Cavendish non me ne diede il tempo. Non poteva certo
lasciarsi sfuggire un’occasione simile.
La mia mano o la mia dote non faceva
differenza: nel primo caso, sarei stata sua; nel secondo, non avrei potuto
essere di nessun altro.
2. «Catullo.
Siete una sentimentale» osservò con una punta di disprezzo.
«Adoro la metrica e il suono delle
parole» risposi con lo stesso tono.
Attesi di essere congedata, ma il Conte
sembrava in vena di chiacchiere quella mattina.
«Quanti libri avete letto mentre ero
assente?» chiese, senza smettere di guardarmi.
Osservai di nuovo lo scaffale. Non aveva
senso mentirgli. «Dieci, signore.»
«Notevole. Per una sguattera, almeno» osservò
lui, liberandosi della coperta e alzandosi all’improvviso.
«Vi infastidisce di più che una
sguattera sappia leggere o che qualcuno abbia toccato i vostri libri?» chiesi
alzando un sopracciglio, il tono forse un po’ troppo brusco.
Lui parve interdetto, poi accennò un
sorriso.
«La vostra intelligenza, mia cara Rose,
vi salverà sempre. Forse al pari della vostra bellezza» mormorò.
Non seppi che rispondere, ma quel mezzo
complimento mi colpì.
«Posso andare adesso?» chiesi tutto d’un
fiato.
Lui fece un cenno d’assenso con la mano
e, senza togliersi quell’odioso sorriso dalla faccia, mi osservò uscire dalla
biblioteca.
3. «Perché non fate mai quello che vi
chiedo?»
Scattai di colpo, come svegliata di
soprassalto da un bel sogno. Mi voltai e riconobbi la figura del Conte di
Suffolk sulla porta. Lì, fermo sulla soglia, mi ricordò una delle prime volte
in cui mi aveva sorpresa in biblioteca. Indossava una camicia sgualcita e i
pantaloni della sera precedente, sul braccio reggeva un mantello ripiegato e,
tra i suoi capelli, scorsi qualche fiocco di neve.
«Non accettate mai quello che vi offro e
mi costringete a…» S’interruppe, gettando il mantello su una sedia con fare
rabbioso. «Dio, quanto siete testarda, lady Howard! Sono andato persino a
cercarvi nella stalla!» sbottò, esasperato.
«Mi sembrava di essere stata chiara»
replicai, senza scompormi.
«Non avete dormito nella stanza che vi
ho fatto preparare.»
«No.»
«E indossate ancora quella ridicola
divisa!» Era sempre più nervoso.
Ressi il suo sguardo con aria di sfida.
«Come vi ho già detto, ho bisogno di questo lavoro e non accetterò la carità da
nessuno, lord Suffolk. Se non volete che lavori più per voi, me ne andrò oggi stesso.»
«Vi divertite a sfidarmi. In qualunque
posizione siate, voi…»
«Io non prendo ordini da nessuno. Sono
una donna libera, e non potete vantare alcun diritto su di me.»
4. «Dalla prima volta che ti ho vista, mi sei entrata
dentro, Freya. Sono arrivato persino a spiarti, mentre citavi il Giulio Cesare ai maiali.»
Scoppiammo a ridere all’unisono.
Ero colpita e un po’ in imbarazzo,
considerando l’inusuale passatempo.
«Non capivo se fossi totalmente pazza, o
immensamente speciale» proseguì, senza perdere il sorriso. «Quando ti ho
scoperto a leggere quel libro in biblioteca, eri piccola e indifesa come
un passero, ma con lo sguardo fiero di un’aquila. In quell’istante, non ho
avuto più dubbi.»
Novembre
Laura Vegliamore
TITOLO: Novembre
AUTORE: Laura Vegliamore
EDITORE: Words Edizioni
GENERE: Narrativa contemporanea
FORMATO: Ebook (2,99 – 0,99 nel giorno d’uscita) - Cartaceo (15,90)
RELEASE DATE: 11.11.2020
DISPONIBILE SU AMAZON
E IN TUTTE LE LIBRERIE
“Tanto varrebbe prendere un treno a caso.”
TRAMA
Un venerdì come tanti a Parigi, una stazione della metro, un treno soppresso, un incontro deciso dal
destino. Adriano, ventiseienne romano, si è trasferito in Francia fuggendo da un senso di colpa divenuto
insostenibile, lontano dalla ragazza con cui è cresciuto, dal padre e dal fratello gemello, riflesso distorto
di se stesso che non riesce più a guardare negli occhi. E in quella stazione incontra Mathilde, bella e piena
di vita, che gli propone un gioco: farsi trascinare dal caso, per vedere dove il destino li condurrà. In quel
pomeriggio freddo di novembre, Adriano accetta di prendere per mano quella sconosciuta, per cambiare
vita, lasciarsi tutto alle spalle, respirare di nuovo. Il viaggio di Mathilde e Adriano è un turbine di mistero,
strade e canzoni, nel caos magico di una città meravigliosa, testimone di un sentimento che sembra
nascere all’improvviso e travolgere ogni cosa. Solo che quello non è un venerdì come tanti a Parigi. È il
13 novembre 2015, e il destino sta per mostrare il suo volto più crudele.
L’AUTRICE
Laura Vegliamore è nata a Roma nel 1989. Dopo essersi diplomata in recitazione all’Accademia
Internazionale di Teatro si è trasferita a Parigi dove ha vissuto per tre anni, lavorando come agente
museale. Appassionata di storia e luoghi antichi, lettrice devota fin dall’infanzia, ha sempre adorato
scrivere e, una volta tornata in Italia, si è decisa a dedicarsi a questa passione anima e corpo. Per Dri
Editore ha pubblicato il romanzo storico Terraferma. Per Words Edizioni esordisce con il romanzo di
narrativa contemporanea Novembre.
ESTRATTI
1. «Lo faresti?» gli chiese ancora, ignorando la domanda.
Adriano rispose al sorriso, ancora sbalordito e sorpreso, spogliandosi per un solo istante della rabbiosa
frustrazione di quel momento.
Sarebbe mai stato in grado di prendere un treno a caso?
«Certo che sì» mentì. La ragazza annuì, fingendo una solennità inadatta e comica che vibrò appena
nel petto di Adriano e sciolse quasi definitivamente il fastidio di quella situazione.
«Lo sapevo, hai la faccia di uno che prende treni a caso tutte le sere» sentenziò decisa.
Era più bassa di lui, di molto anche. Paffuta, con lunghi capelli rossi e grandi occhi castani. Emanava
una strana forza, una sorta di vitalità nascosta che pareva uscire, lottare per arrivare fino a lui, fino a
toccarlo. Gli ricordava qualcosa di conosciuto e al contempo sapeva di nuovo, di inaudito; e aveva
voglia di parlarle, continuare a guardarla sorridere.
«Proprio così» le rispose, nel suo francese secco e stentato, ancora un po’ timoroso. L’espressione
della ragazza si illuminò.
«Lo fai per lavoro?»
Quella sua sfrontatezza era semplice, adorabile. C’era un tremolio tiepido nella voce, qualcosa che
colpì Adriano, lo infranse e lo riempì di una calma buona e insolita.
«Certo», rispose con serietà divertita, «sono un prenditore di treni a caso, dal lunedì al venerdì.»
2. «La prima volta che mi ha portata qui, mio nonno mi ha mi ha fatto chiudere gli occhi.»
Sfiorò le palpebre di Adriano con i polpastrelli e lo costrinse ad abbassarle.
«Senti, mi disse, l’aria che arriva è quella smossa dai ventagli delle dame. Il rumore sono i tacchi dei cavalieri che
tengono il tempo. Le voci sono quelle dei cortigiani che cercano di ammaliare il re.»
Adriano avvertì un brivido lungo la spina dorsale. Lasciò che quella fantasia si prendesse un po’ della
sua coscienza e accettò di immergersi nel mondo di Mathilde.
Fu sorpreso di trovarci lo spazio per lui e ci scivolò piano, sempre più a suo agio. Sentì il peso dei
secoli, l’odore del marmo, l’eco delle voci dei cortigiani. Forse, da qualche parte, anche lo scalpiccio di
cavalli lontani, in arrivo da terre remote. Si sorprese ad amare quel momento, amarlo davvero, fino ad
averne la pelle d’oca.
«La musica è quella che il re non vuole interrompere, nemmeno dopo quattrocento anni.»
Lo abbracciò e cominciarono a muoversi lenti contro le note.
Non ballavano, né stavano fermi. Cadevano dentro al mondo, in mezzo al tempo. Trascinati dai sensi,
legati stretti nella penombra.
Vivi e infiniti. Solo per un istante.
3. «Era una storia finita, Adri, ha fatto bene… Solo, ecco, il tempismo non è stato dei migliori.
L’università va male, non riesce a studiare, non trova nessun lavoro. Non è un bel periodo.»
Adriano calciò un sasso.
«Non è mai un bel periodo, Cla’.»
Si sentiva svuotato, spossato, come se gli avessero succhiato via l’energia dal sangue. Era pentito, non
avrebbe voluto chiedere niente, avrebbe voluto continuare a illudersi che stesse bene come voleva fargli
credere.
«Lo so.»
Accelerò il passo senza rendersene conto. Claudia lo raggiunse, lo tirò per un braccio.
«Non c’entra niente il fatto che sei partito, Adri.»
Adriano si liberò dalla sua stretta, evitando di guardarla negli occhi.
«Se Leonardo sta male non è colpa tua.»
Sì, invece.
«Non so più come dirtelo, Adri.»
Non rispose, non disse più niente. Riprese a camminare, accelerando il passo, desiderando ancora di
non aver tirato fuori l’argomento.
Era colpa sua, soltanto colpa sua.
4. Solo una cosa esisteva.
Immersa in un blu intermittente e spettrale, avvolta dal freddo immobile e spento.
Solo una cosa esisteva, si muoveva. Viveva.
Solo il sangue.
Sull’avambraccio, tra le pieghe dei jeans, sulla maglietta.
Insolito e ingombrante, fermo e umido. Era quello il fastidio che riusciva ad accettare, l’unica cosa
sopportabile. Non le sirene assordanti, non le urla e, assolutamente, non la morte.
Solo l’ancestrale, quasi confortevole presenza del sangue addosso.
Nessun commento:
Posta un commento